Titolo: I misteri di Chalk Hill
Autrice: Susanne Goga
Editore: Giunti
Pagine: 416
Formato: cartaceo/ebook
Pubblicazione: maggio 2015
Livello di sensualità: “non rilevabile”
POV: Terza persona
Commento di Ermione:
Difficile per me inserire questo romanzo in un genere ben definito. Potrebbe essere un giallo, ma non ci sono omicidi; un romantic suspense, ma di fatto la componente “rosa” è meno che accennata; un paranormal, perché certi fenomeni alla fine non vengono (intenzionalmente) spiegati, benché la maggior parte dei “misteri” di Chalk Hill trovino una spiegazione totalmente umana e razionale.
Trama: Un romanzo storico pieno di mistero e romanticismo. Atmosfere vittoriane per una storia ambientata nella campagna inglese che unisce brivido e sentimento in un crescendo di suspense e colpi di scena. Con I misteri di Chalk Hill Susanne Goga riesce a fondere due generi letterari, il thriller e il romanzo storico collocando l'intera vicenda sulle colline del Surrey alla fine dell'Ottocento. Quando Charlotte vi approda per la prima volta e si trova davanti alla splendida tenuta di Chalk Hill rimane senza fiato: l’imponente villa, sormontata da una torretta e circondata da alberi secolari, è il luogo più affascinante che abbia mai visto. Qui potrà finalmente iniziare una nuova vita, dopo aver lasciato Berlino a causa di uno scandalo che ha compromesso la sua reputazione di istitutrice.
Chiamata a occuparsi della piccola Emily, Charlotte si rende subito conto che una strana atmosfera di mistero aleggia sulla casa: la quiete è quasi irreale, il papà di Emily è gelido e altezzoso, la bambina è tormentata ogni notte da terribili incubi e dice di vedere la madre, scomparsa un anno prima in circostanze misteriose. L’affetto per Emily spinge Charlotte a voler capire cosa stia succedendo a Chalk Hill, ma nessuno dei domestici osa rompere il silenzio imposto dal vedovo sulla morte di Lady Ellen. Solo con l’aiuto dell’affascinante giornalista Thomas Ashdown, Charlotte si avvicina alla verità, una verità sconvolgente, ben sepolta tra il mistero e il romanticismo di quelle antiche mura.
Chiamata a occuparsi della piccola Emily, Charlotte si rende subito conto che una strana atmosfera di mistero aleggia sulla casa: la quiete è quasi irreale, il papà di Emily è gelido e altezzoso, la bambina è tormentata ogni notte da terribili incubi e dice di vedere la madre, scomparsa un anno prima in circostanze misteriose. L’affetto per Emily spinge Charlotte a voler capire cosa stia succedendo a Chalk Hill, ma nessuno dei domestici osa rompere il silenzio imposto dal vedovo sulla morte di Lady Ellen. Solo con l’aiuto dell’affascinante giornalista Thomas Ashdown, Charlotte si avvicina alla verità, una verità sconvolgente, ben sepolta tra il mistero e il romanticismo di quelle antiche mura.
"Charlotte guardò verso la costa e pensò a quante persone, prima di
lei, dovevano aver compiuto quella traversata, chissà con quali
intenzioni e speranze. E lei, cosa stava cercando lei, in Inghilterra?
Chi si metteva in viaggio verso un mondo sconosciuto di solito lo faceva
per lasciarsi qualcosa alle spalle. Charlotte sospirò, la faccia contro
il vento. Una nuova terra, un nuovo inizio. Una vera avventura. "
Commento di Ermione:
Difficile per me inserire questo romanzo in un genere ben definito. Potrebbe essere un giallo, ma non ci sono omicidi; un romantic suspense, ma di fatto la componente “rosa” è meno che accennata; un paranormal, perché certi fenomeni alla fine non vengono (intenzionalmente) spiegati, benché la maggior parte dei “misteri” di Chalk Hill trovino una spiegazione totalmente umana e razionale.
In alcune recensioni che mi è capitato di leggere si è parlato di una sorta di rivisitazione di Jane Eyre – e la stessa autrice, nella postfazione, parla del suo romanzo come un omaggio all’opera della Brontë –, ma sinceramente nello stile, così come nelle vicende narrate, non me lo ha ricordato proprio per niente. Ok, abbiamo una giovane istitutrice chiamata ad occuparsi di una bambina rimasta orfana di madre in una aristocratica magione nella campagna inglese sulla quale aleggiano tetri misteri. Ma, per quanto mi riguarda, le similitudini finiscono lì. Charlotte – fatta eccezione per la professione – ha ben poco a che vedere con Jane: è una ragazza tedesca di buona famiglia che ha scelto di essere indipendente lavorando; per allontanarsi da un ambiente divenuto ostile (a causa di un corteggiamento “socialmente inappropriato”), decide di trasferirsi in Inghilterra e di iniziare una nuova vita spinta anche dal desiderio di perfezionare la padronanza della lingua inglese e di conoscere persone e luoghi diversi. Sir Clayworth, il suo datore di lavoro, non ha decisamente nulla a che vedere con Rochester, soprattutto rispetto al ruolo giocato nella vicenda.
Inoltre, l’epoca in cui la storia è ambientata è successiva, presumibilmente, di oltre cinquant’anni rispetto a quella di Jane Eyre e lo spirito che si respira è completamente diverso: qui siamo nel 1890 e lo sfondo storico-culturale entro cui si dipana la vicenda è soprattutto quello che delinea lo scontro tra la diffusione dell’interesse nei confronti di manifestazioni paranormali e spiritismo (nonché l’affermarsi di prodigiosi sedicenti medium), da un lato, e il progredire “laico” della scienza e la tendenza a spiegare razionalmente fenomeni apparentemente non spiegabili (e a smascherare truffatori e ciarlatani che sfruttano superstizioni e credulità popolare), dall’altro. Tom Ashdown – personaggio estremamente intrigante – incarna perfettamente questo Zeitgeist: è un caustico giornalista e critico teatrale, che si definisce “agnostico di natura”, dotato di una mente “scientifica”, ma contemporaneamente curiosa e aperta; il suo preponderante lato razionale non gli impedisce di interessarsi ai presunti fenomeni soprannaturali – interesse nato dopo la prematura scomparsa della giovane moglie –, entrando a far parte della Società per la ricerca psichica, con il duplice scopo di conoscere, da un lato, e di denunciare gli impostori che lucrano con il dolore delle persone, dall’altro.
Se il romanzo non mi ha ricordato Jane Eyre, nella costruzione dell’intreccio, mi ha invece molto ricordato i gialli di Agatha Christie, con il “mistero” che si risolve definitivamente solo nelle ultime pagine, come un puzzle che si compone di piccoli indizi disseminati qua e là, soprattutto nei meandri dei dialoghi tra i vari personaggi.
Ho trovato il romanzo scritto benissimo, perché riesce sia a rendere in modo assolutamente vivido le descrizioni e le atmosfere della campagna inglese di fine Ottocento, ora serene e amene ora inquietanti e gotiche, sia a mantenere a lungo il lettore in uno stato di suspense, anche rispetto alla storia che sta leggendo (siamo di fronte a un giallo, legato a inganni assolutamente umani, o di fronte a un paranormal, dove le spiegazioni appartengono a un mondo di fantasia?). Interessante, per certi aspetti anche la soluzione a quest’ultima questione, la cui chiave è nella citazione di William James con cui si apre il romanzo: “Per confutare l’affermazione che tutti i corvi sono neri non è necessario dimostrare che nessuno lo è; basta trovarne uno bianco; ne basta uno”. Ecco, si tratta di uno di quei romanzi di cui mi augurerei fortemente una trasposizione cinematografica, dal momento che mentre lo leggevo non potevo fare a meno di “farmi il film” nella testa.
L’unica componente di cui ho sentito la mancanza, devo essere sincera, è quella “rosa”, per la quale vengono gettate ampie premesse, ma che viene lasciata alla totale immaginazione del lettore. Per carità, non che mi aspettassi descrizioni di amplessi furiosi consumati sulla cattedra dell’istitutrice, “capezzoli turgidi e membri eretti” con reciproco scambio di fluidi fisiologici - che francamente in questa storia ci sarebbero entrate come i cavoli a merenda –, però, signora Goga, lasciarci così a bocca asciutta dopo averci lasciato annusare il profumo di arrosto non va bene! Personalmente mi sarei accontentata anche di una evoluzione assolutamente casta del rapporto tra Charlotte e Tom, pur di leggere di una qualche evoluzione in tal senso, senza doverla immaginare da sola.
Inoltre, l’epoca in cui la storia è ambientata è successiva, presumibilmente, di oltre cinquant’anni rispetto a quella di Jane Eyre e lo spirito che si respira è completamente diverso: qui siamo nel 1890 e lo sfondo storico-culturale entro cui si dipana la vicenda è soprattutto quello che delinea lo scontro tra la diffusione dell’interesse nei confronti di manifestazioni paranormali e spiritismo (nonché l’affermarsi di prodigiosi sedicenti medium), da un lato, e il progredire “laico” della scienza e la tendenza a spiegare razionalmente fenomeni apparentemente non spiegabili (e a smascherare truffatori e ciarlatani che sfruttano superstizioni e credulità popolare), dall’altro. Tom Ashdown – personaggio estremamente intrigante – incarna perfettamente questo Zeitgeist: è un caustico giornalista e critico teatrale, che si definisce “agnostico di natura”, dotato di una mente “scientifica”, ma contemporaneamente curiosa e aperta; il suo preponderante lato razionale non gli impedisce di interessarsi ai presunti fenomeni soprannaturali – interesse nato dopo la prematura scomparsa della giovane moglie –, entrando a far parte della Società per la ricerca psichica, con il duplice scopo di conoscere, da un lato, e di denunciare gli impostori che lucrano con il dolore delle persone, dall’altro.
Se il romanzo non mi ha ricordato Jane Eyre, nella costruzione dell’intreccio, mi ha invece molto ricordato i gialli di Agatha Christie, con il “mistero” che si risolve definitivamente solo nelle ultime pagine, come un puzzle che si compone di piccoli indizi disseminati qua e là, soprattutto nei meandri dei dialoghi tra i vari personaggi.
Ho trovato il romanzo scritto benissimo, perché riesce sia a rendere in modo assolutamente vivido le descrizioni e le atmosfere della campagna inglese di fine Ottocento, ora serene e amene ora inquietanti e gotiche, sia a mantenere a lungo il lettore in uno stato di suspense, anche rispetto alla storia che sta leggendo (siamo di fronte a un giallo, legato a inganni assolutamente umani, o di fronte a un paranormal, dove le spiegazioni appartengono a un mondo di fantasia?). Interessante, per certi aspetti anche la soluzione a quest’ultima questione, la cui chiave è nella citazione di William James con cui si apre il romanzo: “Per confutare l’affermazione che tutti i corvi sono neri non è necessario dimostrare che nessuno lo è; basta trovarne uno bianco; ne basta uno”. Ecco, si tratta di uno di quei romanzi di cui mi augurerei fortemente una trasposizione cinematografica, dal momento che mentre lo leggevo non potevo fare a meno di “farmi il film” nella testa.
L’unica componente di cui ho sentito la mancanza, devo essere sincera, è quella “rosa”, per la quale vengono gettate ampie premesse, ma che viene lasciata alla totale immaginazione del lettore. Per carità, non che mi aspettassi descrizioni di amplessi furiosi consumati sulla cattedra dell’istitutrice, “capezzoli turgidi e membri eretti” con reciproco scambio di fluidi fisiologici - che francamente in questa storia ci sarebbero entrate come i cavoli a merenda –, però, signora Goga, lasciarci così a bocca asciutta dopo averci lasciato annusare il profumo di arrosto non va bene! Personalmente mi sarei accontentata anche di una evoluzione assolutamente casta del rapporto tra Charlotte e Tom, pur di leggere di una qualche evoluzione in tal senso, senza doverla immaginare da sola.
Comunque, consigliato, soprattutto a chi ha voglia di staccare un po’ dal romance.
Il mio voto è:
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.